Siete curiosi di capire perché certe persone sono abbonate alla fatica? Sentite questa. Qualche giorno fa eravamo in centro a Torino e abbiamo incontrato per caso un’amica che non vedevamo da tempo, da poco autorizzata a trasferirsi da un ente pubblico ad un altro, attraverso l’istituto della mobilità. Grande entusiasmo quando ci siamo rivisti dopo anni e, sapendo quanto tenesse al trasferimento, ci è venuto spontaneo chiederle come si trovasse nel nuovo impiego.

Risposta: «Bene, finalmente». Quindi, oggettivamente, due sole parole. Poi ha attaccato: «Sì, però tu sai quanto c’ho messo per avere il via libera? Undici anni! Ti rendi conto? Undici anni della mia vita! Un’eternità! Mi hanno fatto sputare sangue prima di concedermi il nulla osta. Tu pensa che la prima volta….», ed è partita in quarta nel ricostruire i particolari della sua vicenda umana e professionale. Se ad un certo punto non avesse ricevuto una telefonata sul cellulare la conversazione (leggi "monologo") sarebbe continuata ancora per un bel po'...

Ora, dite: dov’era il suo focus mentale? Sul presente o sul passato? Risposta scontata… Invece di guardare avanti e benedire la sua nuova condizione, ogni briciolo delle sue risorse mentali erano (e, ahinoi, sono) impiegate per alimentare un passato buio, da cui vorrebbe (e dovrebbe) prendere le distanze. Cosa può ottenere una persona che, metaforicamente parlando, guida continuando a guardare nello specchietto retrovisore? Che liquida il presente roseo con due parole e poi torna a rivivere nei minimi dettagli una situazione morta e sepolta? La risposta sta in una singola parola: fatica! Rivivendo il ruolo di vittima, cioè, la persona in questione appesantisce di cose inutili lo zaino che porta sulle spalle, rendendo così la sua andatura incerta e, appunto, faticosa.

«Impersonare il ruolo di vittima – scrive il Prof. Franco Berrino nel suo recente “La via della leggerezza” (Mondadori) – genera un’emorragia energetica a livello fisico, mentale, emozionale e a livello della forza vitale (…), diminuendo la nostra capacità di vivere in pace, dal momento che ci attacchiamo alle tossine emozionali di una situazione del passato». Ne vale la pena?

Liberarsi dal passato diventa dunque un "must", per guardate il più possibile avanti, a “ciò che è” e a “ciò che sarà”, piuttosto che a “ciò che è stato”, che rappresenta invece una condizione ormai immodificabile e non degna di succhiare ulteriori risorse. Condividete?

A proposito, avete notato? Nelle auto lo specchietto retrovisore è molto più piccolo rispetto al cristallo anteriore. Ci sarà un perché… Paolo Fossati paolofossati.net<http://paolofossati.net>

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«Ricorda che la felicità non dipende da chi sei o da cosa hai. Dipende solamente da cosa pensi». Dale Carnegie

 

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