Come per tutte le nuove metodologie scientifiche, il neuromarketing, già dalla sua nascita ha stimolato la curiosità e l’interesse dei professionisti della comunicazione che entrano a contatto giornalmente con il marketing. Se per un certo verso questa è la normalità, il neuromarketing ha invece suscitato la paura di alcuni consumatori più attenti i quali sono consapevoli di non poter controllare qualcosa che ancora non è completamente sconosciuto. 

Questo è dovuto in parte anche perchè nello studio delle neuroscienze e quindi del neuromarketing vi è un ampio utilizzo di tecnologie prevalentemente utilizzate nel settore medico e di conseguenza si pongono alcuni quesiti riguardo, appunto, gli aspetti etici legati a questo metodo di comunicazione.

A tal riguardo, da parte di consumatori e aziende, ci sono posizioni contrastanti e opposte sull’utilità del neuromarketing. Queste convinzioni si dividono sostanzialmente in due fazioni che potremmo definire ottimista e pessimista sulla base delle osservazioni dello studio del processo decisionale e motivazionale degli individui.
Secondo gli ottimisti, coloro che sono a favore di questo strumento, né il marketing, né la pubblicità hanno lo scopo di persuadere, ma piuttosto quello di orientare i consumatori ad atteggiamenti positivi verso il brand. Anche perché far passare l’idea di persuasione comporterebbe l'ammissione di una assoluta irrazionalità e passività dei consumatori nei confronti del messaggio comunicativo. Citando gli studi di Lindstorm (2009), gli ottimisti del neuromarketing vedono quasi un contesto positivo di utilitarismo sociale per il fatto che più le aziende conosceranno i bisogni e i desideri più o meno inconsci dei consumatori, tanto più potranno essere messi sul mercato i prodotti realmente utili ai consumatori.
 
Dalla parte opposta invece i pessimisti, ritengono che persuasione sia la parola d’ordine (nella sua eccezione negativa) utilizzata dagli studiosi del neuromarketing. Secondo questa visione i consumatori sarebbero alla pari delle cavie da laboratorio, per affinare tecniche di vendita push agendo sul loro processo decisionale spingendli all’acquisto. Una vera e propria manipolazione che potrebbe affidare alle imprese un potere in termini di asimmetria informativa.

Appare quindi evidente come il dibattito etico su questo particolare settore delle neuroscienze sia attuale e stringente fornendo, attualmente, più domande che risposte anche a causa delle evoluzioni tecnologiche a cui stiamo assistendo tra cui la più banale deriva dall’introduzione del web che ha prodotto nuovi quesiti riguardo l’etica del marketing e l’uso di tale strumento, quali l’invadenza nell’uso del web, la violazione della privacy elettronica, la promozione di prodotti discutibili e l’aggressione a  categorie vulnerabili. Per cercare di dare una risposta a questi interrogativi o comunque regolamentare in qualche modo l'uso di queste tecnichesi sono studiati alcuni test per valutare il grado di eticità delle decisioni di marketing come ad esempio il test della sovranità del consumatore di Smith e Quelch o il test test delle otto domande di Laczniak.

L'esecuzione di questi test è relativamente semplice ma la loro efficacia è soggetta al senso morale del manager, soprattutto in relazione alla “quantità” di sovranità da concedere al consumatore. Rimane anche da sottolineare la difficoltà oggettiva di pervenire ad una efficace teoria normativa in quest'area della gestione aziendale, per le differenti condizioni di storia, tempo, contesto e vincoli di sostenibilità.

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